Dalla lettura di un articolo pubblicato ieri – 4 maggio 2021 – dal Corriere della Sera a firma di Ernesto Galli della Loggia la domanda sorge spontanea: che fine faranno gli studenti afferenti al segmento più umile della nostra società? Non dimentichiamo che tra le cause della dispersione scolastica, per l’esattezza il 13,5% a livello nazionale, vi è una diffusa difficoltà socio-economica delle rispettive famiglie ad alimentare la deprivazione culturale dei giovani. In tale contesto, la povertà educativa diventa anche uno di quei limiti che la Repubblica è chiamata a rimuovere, secondo quanto previsto dall’art. 3.2 della Costituzione.
Osservare la condizione giovanile – da un punto di vista prettamente scolastico – tenendo in considerazione i rispettivi riscontri percentuali, si potrà notare come il dato nazionale, comparato alle realtà presenti nelle aree del Meridione, nel lungo periodo potranno risultare una delle criticità strategiche per l’intera nazione. Questa sfida, per il Governo Draghi, chiamato a coordinare la qualità e la velocità degli interventi previsti dal PNRR, dovrà includere anche una particolare lungimiranza finalizzata verificare secondo il crono programma pianificato la bontà delle azioni messe in atto dal MIUR affinchè la Scuola, con i fondi previsti dal Recovery Plan, anche nel Meridione possa compiere quel salto di qualità richiestoci dai tempi.
Questa volta non si tratterà di mettere una pezza ad una parte del processo formativo. Per moltissimi versi, bisognerà ben comprendere l’importanza dell’epocale cambio di rotta che dovrà compiere, in un tempo molto breve, la Scuola. Dalla lettura dei dati forniti dal rapporto Invalsi 2019 emergono dati da non trascurare: nel Sud e nelle isole i risultati educativi sono più bassi della media nazionale. Questa divergenza è una forbice destinata ad aprirsi in funzione del percorso di studio. Prendiamo in esempio la performance di alcune discipline: se la media nazionale è al 34,4% per l’italiano e del 38,7% per la matematica, il dato nel mezzogiorno è drammatico: nel sud e nelle isole il 45,9% degli studenti giunti alla licenza media non arriva a livello ritenuto minimo nelle prove d’italiano e il 55,7% nelle prove di matematica, con punte che sfiorano il 60% in Calabria».
Sono quest’ultimi dati a doverci far comprendere l’importanza della sfida educativa da mettere in campo, facendo di tutto per evitare guerre tra poveri ed impegnandoci ad innalzare il livello del confronto, senza cadere nell’inutile degenerazione e nelle consuete divisioni che arrecherebbero un grande male al processo innovativo da compiere.
Infine, vorrei evidenziare che in questa occasione i ruoli sono invertiti. Contrariamente al passato non saranno i discenti ad essere giudicati. Loro saranno chiamati in futuro a saldare il conto. La buona riuscita dei processi da mettere in atto prevedono una straordinaria capacità di dialogo tra classe politica, Dirigenti scolastici, docenti, famiglie e parti sociali. L’Europa, questa volta giudicherà con rigore ogni azione compiuta dai rispettivi decisori, determinando il grado della nostra affidabilità e capacità nell’essere innovatori.
Insomma, continuare ad essere innamorati delle proprie idee, bocciando le altrui ipotesi a prescindere, non sarà funzionale al processo di sviluppo che dovremo mettere in atto al più presto. La pagella di questo percorso comune potremo leggerla tra 5 anni, momento vediamo di non perdere di vista il tessuto sociale più umile dell’Italia e del Meridione in particolare. Il rischio “esclusione” è dietro l’angolo e questa volta gli esclusi potrebbero assumere una inedita rilevanza per la ripresa dell’Italia.