”È drammatico dirlo, ma sette italiani su dieci non hanno il livello di competenze necessarie per interagire in modo efficace nel XXI Secolo. Stando a questo dato, sette italiani su dieci, sono “analfabeti funzionali”. A fare questa pesante affermazione è un rapporto pubblicato dall’Ocse”. Personalmente credo sia questo uno dei tanti temi da affrontare con urgenza per scongiurare la degenerazione delle relazioni e l’imbruttimento dei rapporti interpersonali. Approfondirò più avanti questo tema, in quanto prima penso sia necessario dedicare un minimo di attenzione nei confronti di coloro che hanno scelto di essere attendisti al solo fine di poter rilevare e rinfacciare l’eventuale errore di chi invece è interventista e, quindi,  impegnato nel portare avanti qualcosa di tangibile a favore della collettività e del benessere diffuso. Tra le due parti vi è una differenza notevole: da una parte c’è chi non sbaglierà mai perché non fa niente; dall’altra ci sarà chi potrà anche sbagliare ma intanto lavora per la collettività. Queste due differenti modalità d’azione hanno diffuso nel tempo una spasmodica esigenza: cercare in tutti i modi l’opportunità per raccogliere tanti like sui social, utilizzandoli sia per vantarsi e, nello stesso tempo, per sentirsi autorizzati ad auto collocarsi come capo tribù di una massa sociale disattenta, incapace, non pensante, velocissima a fare di tutto senza però riuscire a costruire niente di solido. Dall’altra parte, si assisterà ad osservare quanti limitano il loro agire perchè non vogliono cadere nella pressione psicologica  praticata dalla sempre più ricorrente gogna mediatica, assimilabile ad un boia che decapita anche gli innocenti per la sola esigenza di offrire la visione della giustizia ad un popolo smarrito, senza valori e senza virtù. La costante velocità d’espansione di questa macchina mortale, con il passare del tempo, finirà per paralizzare il sistema, minando la stabilità, la fiducia e lo sviluppo. L’incompetenza oggi non crea disagio nelle persone. Genera arroganza. Prendendo in prestito  l’esempio lasciatoci da Nicolò Machiavelli, un lanzichenecco non potrà diventare Principe ma potrà sobillare gli altri lanzichenecchi affinché il loro operato venga svolto non per difendere e proteggere il Sovrano ma per consegnarlo alle mani nemiche. Oltre a tradire il mandato ricevuto, il lanzichenecco finirà per essere annientato, insieme agli altri soldati, proprio da colui che ne aveva sottratto l’onore e la virtù con i soldi. Questa esperienza dovrebbe essere molto chiara a quanti volessero impegnarsi nell’amministrazione pubblica, invece, è sempre più praticata al solo fine di poter  raggiungere l’obiettivo prefissato utilizzando violenza e degenerazione. Sia ben chiaro, soprattutto ai numerosi furbacchioni, divenuti i sovrani del niente: state rischiando di essere vittime del vostro stesso boomerang. Il concetto di relativismo ha ormai penetrato l’intera stratificazione sociale della nostra collettività, autorizzando chiunque ad avere, sempre e comunque, una sua ragione, destinata non soltanto ad essere manifestata ma soprattutto ad essere salvaguardata e difesa e, in estrema ratio, non è escluso il ricorso alla violenza e non è prevista misura di salvaguardia per nessuno, neanche per i sobillatori delle folle. La strada percorsa dalla  degenerazione è proprio questa ed ormai è fortemente diffusa, non solo nel mondo degli adulti ma anche nel mondo dei bambini e degli adolescenti. Tutto ciò dovrebbe far preoccupare quanti hanno il coraggio di riflettere sull’evoluzione futura del fenomeno auspicando urgenti misure volte a governare questo fenomeno. Sarei stato felicissimo se la nostra fosse stata una società dalla ragione, della pacatezza e del desiderio di cooperazione dove la libertà di pensiero non sia considerata occasione per scatenare combattimenti virtuali ma autentica opportunità per crescere, arricchirsi e migliorare la qualità della vita ed il livello di benessere per tutti, senza esclusione alcuna. Allo stato attuale non intravedo l’auspicata armonia e la maturità sociale immaginata dai nostri padri costituenti, perciò i rischi di stabilità  sociale sono alti. Per il futuro, ho intenzione di non limitarmi esclusivamente nel formulare riflessioni scritte, alle persone di buona volontà che continueranno ad onorarmi della loro attenzione chiederò di mettersi in gioco. In questa occasione vorrei proporre un piccolo esperimento sociale. E’ indispensabile coinvolgere 4 amici. Bisognerà spiegare loro che sarebbe bello organizzare una festa del quartiere per rafforzare la conoscenza ed il legame di amicizia tra i residenti. Sarà indispensabile riuscire a farli  sedere intorno ad un tavolo ed attivare le ipotesi di programmazione dell’evento; successivamente, la discussione dovrà ampliarsi e bisognerà coinvolgere almeno 10 famiglie dello stesso quartiere che si aggiungeranno alle prime 4 persone coinvolte. A questo punto bisognerà chiedere loro di contribuire all’evento deliberato con dei contributi economici e prestando servizio per l’organizzazione e la buona riuscita dell’evento. Soltanto adesso vi accorgerete quanto sarà difficile far ragionare insieme più persone e quanto sarà difficile far accettare le scelte praticate da un gruppo ristretto ad un gruppo più ampio che dovrà finanziarne la realizzazione senza poterci mettere del proprio nell’iniziativa.  Bene, l’esempio spero sia stato utile per rendere tangibile quanto avviene all’interno dei vari sistemi di governo e/o gestione sia esso il governo di una nazione sia esso un piccolo condominio. In passato, la pressione esterna agli Organi di governo era limitata a quanti potevano partecipare, direttamente o indirettamente alle fasi di proposta e controllo. Nel Terzo Millennio, quell’azione di proposta e di controllo è sfuggita di mano al sistema divenendo un modello  non codificato e strutturato spesse volte da persone prive di competenze ma, nello stesso tempo influenti e per molti versi vincolante a causa della saturazione del messaggio avvenuto nei canali mediatici e il conseguente coinvolgimento della massa sociale. Ecco per quali motivi è sempre più ricorrente l’ergersi a economista, ingegnere, medico, giudice, Presidente della Repubblica, componente della Corte Costituzionale, Presidente della Corte di Cassazione, Questore e Prefetto da parte di quanti non hanno le competenze e non si trovano ad avere le responsabilità di colui che invece ricopre l’ufficio posto in discussione.  Oggi, il controllo delle masse non avviene più creando la fame o l’indigenza, si rischierebbe il blocco dei sistemi economici e di produzione e la paura della Rivoluzione civile potrebbe causare l’effetto contrario a quello atteso; non si usano nemmeno le malattie, probabilmente divenute oggetto di sperimentazione per dare seguito a lunghe sofferenze destinate ad alimentare il segmento farmaceutico lasciando l’ammalato appeso ad un filo di capello tra la vita e la morte. Anche in questo caso l’ombra dei profitti è un fantasma da combattere con l’etica e la morale di quanti vorranno fare ricerca nonché per le industrie farmaceutiche e per i governi, mettendo da parte i profitti e privilegiando la vita; aggredisce la Chiesa ed il suo sistema di valori in quanto vero e proprio crogiolo saperi secolari e punto cardine della cultura della vita, quindi avversaria da annientare mediante l’uso di pregiudizi e diffidenza propinati alle masse con strategie mediatiche sottili e volte a generare sfiducia e condanna. Tanto altro viene fatto veicolare mediante i Social, con la finalità esclusiva di appiattire le menti e convincere singolarmente tutti su fatti e circostanze ben specifiche ma, poco inclini all’incremento del sapere per i diretti fruitori della rete internet. In maniera subdola avviene persino un coinvolgimento virale mediante il costante invio di messaggi artatamente messi in circolazione tramite sms telefonici, e-mail, comunicazione social, con l’esclusivo intento di generare una tipologia di  consenso ancora poco conosciuto dalla grande platea ma perfettamente funzionale a quanti intendono costruire un controllo semplice, veloce ed efficace non nell’immediatezza ma ad orologeria. Notate bene, tutti gli argomenti che ci vengono sottoposti nei vari messaggi pervenuti alla nostra attenzione, destinati ad essere sempre più virali, trattano argomenti  mirati a generare una sensibilità di pancia e non una riflessione mediante ricorso all’intelligenza; Questi messaggi vengono fatti rimbalzare con la chiara volontà  di generare una diffusa reazione violenta nella società, in maniera capillare, trasversale e omogenea. In questo modo, dalla massaia all’alto funzionario dello Stato, si è costantemente stuzzicati da una sollecitazione destinata a creare forte diffidenza, odio e disprezzo  verso uno specifico argomento, sia esso politico, sociale o economico. Al momento giusto, per esempio ultimo giorno di una campagna elettorale, basterà dare il colpo di grazia per distruggere letteralmente l’avversario, creato nel tempo con migliaia di messaggi, insinuazioni e con tutte le altre sollecitazioni subliminali appositamente predisposte. Il messaggio destinato a far scoppiare l’allarme conterrà l’imminente senso di paura e sarà contornato da ulteriori pregiudizi e diffidenze irreali, al punto tale da convincere inspiegabilmente quanti si sono inconsapevolmente prestati al gioco che un prodotto alimentare consumato da una vita, una persona o un partito politico sono il male assoluto dell’umanità e perciò bisogna punire i responsabili specifiche modalità. Concludo: vi siete mai chiesti perché non sono mai circolati messaggi, sotto forma delle famose catene di S. Antonio, del tipo: TUTTI DEVONO SAPERLO, L’IGNORANTE NON SARÀ MAI UNA PERSONA LIBERA. RIMARRÀ SEMPRE SERVO DI UN’ALTRO IGNORANTE CHE E’ STATO PIU’ FURBO E CRUDELE DI QUANTI SONO CADUTI NELLA  TRAPPOLA  DELL’IGNAVIA PERSONALE,  TESA DA COLUI CHE HA VOLUTO IMPEDIRE IL MIGLIORAMENTO DELLA COLLETTIVITA’ PER IL GUSTO DI POTERLA CONTROLLARE FACILMENTE.
Per difendermi da questa costante aggressione, studio e osservo, leggo e rifletto, di sicuro non sarò mai propenso a cadere nella moda del momento per essere attuale, preferisco essere conservatore di modi, usi e valori, ne è prova l’uso che pratico quotidianamente sui Social, destinati ad essere un vettore volto testimoniare l’esistenza di qualche voce fuori dal coro. Rimarrò #eternostudente, ma non eterno coglione.

11 commenti su “IL CONTROLLO DELLA COLLETTIVITÀ NEL TERZO MILLENNIO”

  • Sempre valido nelle tue analisi sociali e pungente al punto giusto nelle sapienti provocazioni lanciate alla societa’. La scuola e’ un ottimo volano in potenza ma serve tanto sacrificio e pazienza in rapporto a delle aperture che si intravedono in questo futuro prossimo…staremo a vedere e studieremo, noi saremo pronti !

    • Carissimo Antonio, grazie per aver letto la mia riflessione e per aver lasciato un tuo apprezzatissimo pensiero. Ti auguro buon lavoro, sono cero che i tuoi discenti porteranno nel loro cuore tutti i tuoi insegnamenti. A presto

  • Caro amico, hai fatto un analisi eccellente ma per benevolenza verso amici che, come me, non hanno tanta voglia di leggere; sii più sintetico e più “semplice”, passami il termine… ti stimo…a presto Francesco…

  • Tante cose vengono esaminate con attenzione tranne una. L’informazione è una cosa serie perchè è anche formarte, purtroppo non si affida più ai professionisti. Fare il giornalista era un mestiere molto serio e difficile, sottoposto a controllo e non a censura. Oggi non è piuttosto così, il giornalista non fa più gavetta seria, chiunque può scrivere e fare in modo che il suo scritto venga considerato informazione, c’è la censura ma non il controllo. Vi fareste fare un intervento chirurgico da un giornalista? Allora, perché un medico può fare informazione? Vi fareste difendere in tribunale da un giornalista? Allora, perché un avvocato può fare informazione? Vi fareste aggiustare l’auto da un giornalista? Allora, perché il meccanico può fare informazione? Mandate il giornalista a scuola da chi questo mestiere lo ha fatto sul serio nel pieno rispetto di chi ascolta, legge o guarda. Forse così non ci sarà la stessa scandalosa situazione che oggi ci fa assorbire qualsiasi stupidaggine ci viene propinata dai mezzi d’informazione. Fate in modo che gli editori non sfruttino più i giovani o che facciano lavorare degli idioti solo perché non li devono pagare o li pagano poco. Come può arrivare un’informazione onesta, corretta e non violenta, altrimenti?
    Nadia Donato

    • Buonasera Nadia, grazie per il tuo contributo. Non posso biasimare quanto asserisci, oggi più che mai occorre tanto coraggio nel mondo professionale di cui tu ti occupi egregiamente. E’ indispensabile guardare avanti e fare la propria parte, senza tenere il cappello in mano per chiedere la questua e soprattutto occorre il coraggio e la determinazione per dire: no, grazie. Conosco moltissimi giornalisti che amano il loro lavoro coscienti del servizio reso. Esistono poi persone che scrivono e, al posto della penna hanno un distorsore. Il giudizio rimarrà al lettore, se debitamente istruito e capace di non essere messo con la testa nel sacco da chi, più che descrivere la realtà offende l’intelligenza di quanti leggono ciò che dovrebbe essere informazione. Buon lavoro e grazie per ciò che fai quotidianamente.

  • Caro Francesco buona giornata e inizio settimana.
    Leggere i tuoi scritti o come tu preferisci chiamarli, riflessioni di Francesco RAO, mi creano sempre molta attenzione e attirano la mia non facile concentrazione del pensiero,
    Bene premesso ciò andiamo nel dunque e immergiamoci nel perche di questa realtà e molte verità da te evidenziate.
    Ritengo che il sapere è un esigenza personale, un vero e proprio stato di necessità, che induce consapevolmente o meno, chi si trova a viverlo a far riflettere corso alla propria intelligenza, acculturata o colta, per fronteggiare il particolare o eccezionale stato di bisogno per superare la criticità del momento di vita personale.
    Quando ero un giovane cantautore “Calabrese” nel senso che cantavo e suonavo con la mia chitarra, le mie canzoni in lingua madre in giro per matrimoni e feste patronali, non avvertivo il valore del sapere, poi man mano che crescevo in età e notorietà, si presentavano le esigenze di dovermi relazionare con molte persone, per cui si rendeva necessario parlare al e in pubblico.
    Che fare?
    Quanto ho studiato caro Francesco!
    Ho studiato così tanto che non posso fare a meno del mio amico libro, un vero e leale amico che non mi lascia mai solo.
    Oggi a quota 61 anni vissuti più o meno come avrei voluto, mi trovo a pensare al passato, interpretare il presente e consigliare a quanti lo desiderano o me lo chiedono, il miglior modo per vivere col sorriso.
    Grazie mio caro Sociologo Calabrese, sempre con la “C” maiuscola.
    Io sorrido e invito sempre al sorriso quanti mi consentono di farlo, non cado nelle numerose trappole che la modernità ti inietta come una flebo giorno e notte.. io invito tutti a cantare alla vita, ballare, studiare e parlare con chiunque. Così facendo si vive una vita bella e sana.
    Invito di viaggiare e scoprire la bella gente della Calabria, in Calabria e ovunque questo patrimonio umano si trovi a vivere per stato di necessità o per libera scelta di vita.
    Un Calabrese nel cuore, Emilio Errigo

  • Si esce dalla scuola con strumenti già insufficienti ad affrontare la società, non si è in grado di decifrare il mondo intorno senza una semplificazione o un’intermediazione. Eppure viviamo nell’epoca del web: lo smartphone sembra aprirci una conoscenza infinita, la maggior parte di noi invece non riesce a cercare né a comprendere questi innumerevoli stimoli.
    La scarsa capacità di capire i testi rende più difficoltoso discernerne la veridicità: molto più facile diffondere le fake news.
    Purtroppo la disaffezione alla cultura e all’istruzione non sollecita più attività come la lettura, l’informazione, la creatività e lo sviluppo di un pensiero critico generale.

  • Caro Prof leggerti è sempre un piacere. Mi trovi d’accordo su tutto specie sul punto relativo alla veicolazione dei “messaggi” da parte dei social con finalità di appiattimento delle menti e su quello ancora più grave e pericoloso relativo all’incompetenza che non crea più disagio bensì genera arroganza. Sai, spesso tutto questo genera in me un senso di profonda tristezza mista ad impotenza perchè anch’io sento di essere in fondo una nostalgica conservatrice per di più maledettamente empatica.
    Ho letto tutto con molta attenzione e mi sono accorta solo alla fine che per tutto il tempo dell’articolo ho tenuto la fronte aggrottata come faccio solitamente quando sono piuttosto concentrata… e me ne sono accorta perchè l’ho completamente distesa sulle tue ultime parole. Ed è proprio in quell’ultimo concetto che sei riuscito, per quanto mi riguarda, a consolidare la tua vittoria regalandomi di cuore il più sano inaspettato e graditissimo dei sorrisi. 🙂 Grazie. La mia stima sempre, Tiziana.

  • Arrivo a leggere le tue riflessioni prendendomi del tempo per esternare le mie, ma non perché sia attendista, almeno credo, semplicemente perché mi sento sconvolta dalla tua analisi che vede una degenerazione delle relazioni e l’imbruttimento dei rapporti interpersonali. Tutto quello che tu dici lo vedo anche io, ma lascio alla speranza il tempo per risolvere la situazione, forse sbaglio, ma non mi sento superficiale. Dopo le tue riflessioni, che ho letto con molta attenzione, mi chiedo come può accadere tutto questo? Sai quanto lavoriamo a scuola per “formare” cittadini responsabili e partecipativi, coscienti dei propri diritti e di quelli degli altri, onesti e generosi. Allora la strada è veramente lunga e necessita nuovi, diversi, interventi e il sacrificio di tanti e direi di tutti, di ognuno di noi. Questa strada, però, va percorsa con serenità perché la vita è bella, sempre bella!
    Grazie Francesco

  • Spesso per comprendere si dice che bisogna mettersi nei panni degli altri.
    Bene allora diciamo: “Io capisco che cosa è la “violenza” (e non parliamo di quella fisica da condannare sotto tutti gli aspetti) se mi metto dalla parte della vittima, del debole, nel suo essere valore e dignità colpite dalla prevaricazione. Se guardo davvero la vittima dell’offesa, se guardo i fatti con i suoi occhi, se acquisto l’intelligenza della com-passione, allora vedo la giustizia mancata, da ristabilire, da restituire a chi ha patito ingiustizia. Vedendo l’offesa, riconoscendola come tale, vedo di riflesso il dover-essere della giustizia. La filosofia della società e della politica comincia dal guardare le vittime, per ripudiare la violenza, prima col cuore, quindi con la ragione e la volontà”.
    E questo possiamo agganciarlo perfettamente a quanto Tu affermi.
    Ho letto il tuo saggio e l’ho apprezzato moltissimo.
    E’ una bella ed interessante analisi sociologica da cui traspare l’amore per tematiche così “forti” e attuali.
    Considero le tue belle riflessioni molto alte e soprattutto Ti riconosco il merito di voler avvicinare gli altri ad argomenti/ questioni così importanti e angoscianti.
    Di mio aggiungo che essere violenti o non violenti lo si impara ogni giorno, come s’impara la legalità e dobbiamo ammettere che sono atteggiamenti che vengono dopo la giustizia sociale che tutti dovremmo respirare, ammettendo che non ci può essere legalità se prima non costruiamo uguaglianza, universalità dei diritti e dei doveri.
    Su questa premessa, io che sono una docente, imposto il mio progetto educativo ogni giorno ( e immagino lo faccia anche tu che hai una visione più larga della mia) considerato che il mio impegno è tra le persone, tra quelle “in formazione”, per le quali con il mio modo di essere sono un modello a cui loro guardano e alla cui formazione contribuisco; pertanto è molto importante il mio “agire quotidiano” che in forma allargata può essere considerato anche un “fare politica “.
    Educare alla legalità, alla non violenza di qualsiasi genere, vuol dire educare alla responsabilità e far capire che la legalità viene prima di ogni altra cosa, perché non è un valore in quanto tale, è l’anello che salda la responsabilità individuale alla giustizia sociale, l’io al noi.
    Per questo non bastano le regole. Le regole funzionano se incontrano coscienze critiche, responsabili, capaci di distinguere, di scegliere, di essere coerenti e qui il tuo discorso sulla necessità di ritornare alle “conoscenze, allo studio e alla riflessione critica” è “alto” perché è vero che c’è un analfabetismo di ritorno. E un ruolo importante ce l’hanno gli smartphone definiti ormai armi di distrazione di massa che rubano l’attenzione e minano la capacità di riflessione.
    Non dimentichiamo che la tecnologia è governata non solo da esperti informatici, ma anche da grandi psicologi che studiano il nostro comportamento e sanno bene come pilotare le masse.
    Noi siamo cavie!
    Il rapporto con le regole non può essere solo di adeguamento, tanto meno di convenienza o paura.
    L’educazione alla legalità si colloca allora nel più ampio orizzonte dell’educarci insieme ai rapporti umani, ormai dispersi, con tutto ciò che questo comporta: capacità di riconoscimento, di ascolto, di reciprocità, d’incontro, di accoglienza, nella consapevolezza che la diversità non solo fa parte della vita, ma è la vita, la sua essenza e la sua bellezza.
    L’esperimento sociale che tu vorresti proporre incontrerebbe notevoli difficoltà.
    Il tema della legalità, correlato alla violenza, è molto importante. Secondo me le molteplici forme di violenza nascono da vuoti che tutti noi possiamo riempire.
    Esistono perché esistono a monte l’indifferenza, l’egoismo, la rassegnazione, il silenzio complice, il pensare solo a se stessi, il disinteresse al bene comune, il vedere negli altri un mezzo e non un fine, (bella l’accezione machiavellica).
    Occorre però farlo capire e non solo a parole, ma accompagnando i soggetti educandi nell’apprendimento dell’alfabeto delle emozioni, dei sentimenti e delle relazioni, che è la base per esprimersi, per costruire un’identità sia personale, sia sociale.
    Tutti sappiamo che non siamo uguali in forza e capacità.
    Un bambino ha bisogno e diritto di essere guidato, aiutato, anche con proibizioni. Ma ognuno sa bene la differenza tra guida e dominio, tra forza che conduce e violenza che opprime.
    Ogni violenza è dominio, riduzione di altri sotto la propria forza e volontà imperiosa.
    Dominio è l’altro nome della violenza, è la sua essenza, presente in ogni sua forma e Tu hai centrato in pieno le cause.
    Esso infatti è una struttura di diseguaglianza, dove lo spazio e il respiro di una parte è compresso e oppresso, utilizzato a vantaggio indebito dall‘altra parte.
    Educare, sappiamo bene, non è fare lezioni astratte sul bene e sul giusto, né solo indicare le regole per garantirle: il bene e il giusto partono dai nostri comportamenti, dai piccoli gesti quotidiani, dall’attenzione per gli altri, soprattutto se deboli o meno dotati, dalla disponibilità a condividere, dall’impegno nello studio e nel conoscere, dal rifiuto dei saperi di seconda mano, delle semplificazioni, delle scorciatoie.
    Molto profondo il tuo passo sul “relativismo”.
    Sai cosa mi fa paura? L’ignoranza associata al potere: è un binomio sconvolgente e imperante.
    Di fatto le teorie della diseguaglianza oggi sono il pensiero dominante e governante e lo hai ben espresso.
    Queste teorie affermano come naturale il privilegio dei forti e abili e impongono ai deboli (persone e popoli) di rassegnarsi, se va bene, alla mera sopravvivenza: sono violenza vera e propria e mi permetto di dire che oggi più che mai l’articolo 3 della nostra Costituzione è il più tradito, eppure enuncia il principio filosofico, morale, politico alternativo a questa violenza.
    Ricordiamoci che abbiamo il dovere di riconoscere il valore dell’alterità e della differenza, ma nell’uguaglianza dei diritti fondamentali.
    Mi è piaciuta molto pure la tua conclusione: “ essere conservatori di modi, usi e valori …”, anch’io sono così e m’importa poco, anzi per niente se mi definiscono retrograda.
    Con grande stima
    Adriana Varacalli

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